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Caravaggio, il primo Direttore della Fotografia della storia

Si può dire che Michelangelo Merisi da Caravaggio, detto semplicemente Caravaggio, sia stato il primo grande direttore della fotografia della storia. Con la sua capacità unica di allestire delle scene di luce ha segnato le epoche, ispirando generazioni di pittori e artisti visivi e influenzando profondamente l'arte a lui successiva.

Ma perchè Caravaggio può definirsi il primo direttore della fotografia della storia? E per quale motivo viene definito come il maestro della luce? Vi invitiamo a scoprirlo insieme a noi in un viaggio attraverso alcune delle sue principali opere.


I dipinti di Caravaggio sono apparizioni che emergono bruscamente dall’oscurità, lo sfondo è quasi sempre abolito, molte volte soppiantato da un drappeggio o da una quinta teatrale. I personaggi delle storie emergono attraverso un fascio di luce tagliente come una lama, che investe ambienti totalmente bui: un bagliore improvviso, uno squarcio che coglie soltanto una parte della realtà, un'istantanea di un preciso momento collocato nello spazio e nel tempo. Tutto il resto è avvolto dalle tenebre. L’oscurità dei quadri di Caravaggio è tuttavia vibrante e palpabile, sembra quasi plasmare fisicamente le forme e lo spazio con un’intensità del tutto inedita e difficilmente replicabile da altri artisti.

Nella pittura di Caravaggio il buio ha un valore strutturante, poiché costruisce le forme. La luce ha un valore simbolico, perchè esalta i dettagli, rafforza le linee di costruzione del dipinto e rappresenta metaforicamente l'intervento divino. Il risultato è un chiaroscuro drammatico, fortemente contrastato e funzionale a investire le scene di emotività. Sebbene stiamo parlando di supporti bidimensionali, nelle tele di Caravaggio non vi è nulla di statico, gli equilibri sono precari, e il trattamento della luce dà rinforzo a tale precarietà, l’intensità veloce dell’azione è resa palpabile, attraverso la luce segno della divinità, unica possibilità di grazia, che agisce nella densa penombra, raggio salvifico, che illumina la tenebra dell’esistenza umana.


Secondo alcune fonti sembra che Caravaggio avesse sfondato il solaio del suo laboratorio trasformandolo in una vera e propria sala di posa dove, attraverso giochi di riflessione, camere ottiche e specchi concavi, usava affinare la sua tecnica di illuminazione.


A concave mirror in a Caravaggio painting
Uno specchio concavo in un dipinto di Caravaggio

In parallelo a un uso ragionato della luce, il pittore milanese è stato anche un grande studioso della teoria del colore che veniva spesso applicata alle opere in maniera funzionale. La combinazione di luci e colori, proprio come in una pellicola cinematografica ben riuscita, diventa così una tecnica per accentuare stati emotivi e veicolare messaggi.



Luce e colore in cinque opere iconiche di Caravaggio


"La vocazione di San Matteo", 1600


In quest'opera viene rappresentato il Cristo che chiama San Matteo, sorprendendolo in attività illecite insieme ad alcuni compagni. La luce è dirompente e proviene dall'esterno della scena (e non dalla finestra che campeggia al centro della tela, tamponata come se ci trovassimo in un set teatrale). Si tratta della luce divina e simbolica per antonomasia: un fascio potente e naturale illumina la mano del Cristo e parte del suo braccio che mollemente indica San Matteo, prosegue sul volto e sulla mano del Santo che si sorprende della chiamata, evidenzia nel dettaglio gli uomini peccatori che circondano San Matteo intenti a contare i soldi. La luce in questo caso guida l'azione principale della scena, la evidenzia e la rafforza. Di più, rappresenta la direttrice di costruzione di tutta la tela. La luce, come spesso accade in Caravaggio, è salvifica e democratica: investe tanto i beati quanto i peccatori, sta a loro la decisione se redimersi o continuare a peccare.


La vocazione di San Matteo
La vocazione di San Matteo

"Giuditta e Oloferne", 1602


La tela rappresenta un altro mito biblico, mirabilmente interpretato da Caravaggio. Giuditta, la vedova ebrea, decapita il condottiero assiro Oloferne con l'aiuto della fidata serva. Qui Caravaggio lavora con ombre profonde e luci radiose e cinematografiche che esaltano le espressioni dei volti. L'illuminazione è portata sapientemente sui punti di interesse della scena e combinata ad arte con il colore: la serva ha volto decrepito e occhi spiritati, Giuditta è quasi ispirata divinamente, caratterizzata da un'espressione ambigua a metà tra il consapevole e l'accigliato. La luce, ancora una volta, ha un ruolo simbolico: squarcia la scena in diagonale mettendo in risalto la crudezza del gesto e la drammatica emotività del momento. Ma in Caravaggio, come abbiamo visto, la luce va di pari passo con il colore. E allora ecco che le vesti di Giuditta, pur protagonista di un gesto violento, sono di un bianco candido e immacolato. Le vesti della serva, meno nobile, presentano tonalità di colore simili ma sporcate dai neri e rabbuiati dalle profonde ombre che il pittore crea. Immancabile il panno rosso rubino che fa da fondale quasi teatrale e contribuisce a dare ulteriore carica emotiva alla tela.


Giuditta e Oloferne
Giuditta e Oloferne

"Madonna dei Pellegrini", 1604


Questo quadro è il simbolo della controriforma cattolica. Fu commissionato a Caravaggio per salvaguardare l'immagine della chiesa che, decisa a combattere la prostituzione a Roma, volle dare un segnale alle critiche dei protestanti. La scena, citata anche in una nota serie tv italiana, è una reinterpretazione caravaggesca del classico tema della Vergine con bambino visitata dai pellegrini. In questa tela la visione da direttore della fotografia di Caravaggio è lampante: la composizione, le luci, gli abiti e lo scenario sono deliberatamente dipinti in rottura con l'iconografia tradizionale. Così la luce non è più piatta e uniforme, è direzionata sui piedi sporchi dei pellegrini, logorati dai tanti passi, dettaglio strategicamente illuminato per focalizzare l'attenzione sull'umanità e la povertà della scena. Così la Madonna è raffigurata utilizzando come modella una prostituta, vestita di stracci e con il capo coperto da una cuffia sporca. Il bambino è illuminato di spalle e caratterizzato da un potente chiaroscuro. Il trono su cui abitualmente sedeva la Madonna nelle raffigurazioni classiche diventa lo stipite di una porta volutamente decrepita. Tutto è umanizzato, luce compresa. E proprio la luce è utilizzata per stanare i dettagli più importanti per veicolare il messaggio (i piedi, le crepe del muro, le rughe e i segni del tempo sul volto della pellegrina)


Madonna dei pellegrini
Madonna dei pellegrini

"La morte della Vergine", 1606


E' il quadro più grande mai realizzato da Caravaggio, nonchè l'ultima pala d'altare eseguita dal pittore a Roma. E' anche uno dei quadri più controversi, raffigura un tema classico come la morte della Madonna ma con la consueta vena polemica nei confronti dell'iconografia tradizionale. Maria è vestita di un rosso scarlatto (e non di nero come vuole la tradizione), privata della sua regale divinità e buttata su un tavolo da obitorio. I piedi sono nudi, le caviglie gonfie, il volto livido, i capelli in disordine e il ventre prominente. La luce è ancora una volta protagonista: illumina in primo piano la Maddalena, vestita di un rosso arancionato, che piange in un gesto plateale e teatrale. Il fascio che irrompe obliquamente da sinistra verso destra è simbolo del divino, è una luce naturale che indugia prevalentemente sul corpo di Maria. Al posto dei consueti angeli e del Cristo che accolgono l'anima del defunto, Caravaggio dispone un grande drappo sopra alla scena che ricorda una quinta teatrale che si è sollevata dal corpo morto di Maria. Il drappo è il dettaglio finale che fa da raccordo alla teoria del colore di Caravaggio, una sorta di monocromia ricercata ed enfatizzata. Il rosso del drappeggio, il più scuro e saturato, ritorna nel vestito di Maria, rimbalza sulle vesti degli apostoli (in ombra) e ritorna in una tonalità più brillante e tendente all'arancione nella veste di Maddalena.


La morte della Vergine
La morte della Vergine

"Davide con la testa di Golia", 1609-1610


Quest'opera è sicuramente una delle ultime di Caravaggio, situata cronologicamente dopo la sua condanna a pena capitale. Nella testa di Golia, il gigante filisteo decapitato dall'eroe biblico Davide, Caravaggio ritrae sè stesso stanco e malato. Davide, eroe biblico e associato storicamente al bene, emerge in maniera maestosa e simbolica dal buio. La tela è indubbiamente uno dei maggiori esempi di chiaroscuro realizzati dal pittore italiano: la luce appare in fugaci ma essenziali bagliori a rimarcare la muscolatura di Davide, il dettaglio della spada e il volto di Golia. Tutto il resto è profondo buio, una grande campitura di nero che riveste l'intera scena di una drammaticità quasi asfissiante.


Davide con la testa di Golia
Davide con la testa di Golia




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